Autore: Aleix Romero Peña
Fonte: cnt.es
Traduzione a cura di AutoJazztione
Anarcosindacalismo contro neocomunitarismo. Per una battaglia delle idee
«Recuperare la sovranità perduta». Niente male come grido di battaglia per una società in crisi, impoverita e disorientata, anche se è difficile ricordare quando avremmo avuto un simile potere. In questa democrazia liberale, se la memoria non c’inganna, i grandi accordi sono stati e vengono tutt’ora presi in disparte, senza riflettori o stenografi, né con qualche assunzione di responsabilità da parte dei negoziatori; per non parlare, s’intende, della dittatura fascista, che si definisce precisamente per l’assenza di controlli sopra un’autorità totale.
La litania sovranista è diventata popolare nel panorama digitale. I media e i social network se ne servono come la ciliegina sulla torta di un discorso talvolta vicino a una sinistra che si reputa operaista, benché abbastanza lontana all’attuale realtà del lavoro, e spesso legato a un nazionalismo poco o nulla differente dal fascismo. In questa retorica non troveremo però nessun collante ideologico, come dimostra il suo rifiuto a interessarsi di tutto quello che si discosta dal soggetto sociale al quale vuole rivolgersi: una classe operaia escludente da un punto di vista sessuale, etnico, o affettivo, tra le altre cose. Una classe operaia intesa come una comunità che fornisce un’identità egemonica e uniforme, al punto che l’operaio sembra contingente, un mero pretesto, uno squillo di tromba per altro. Lo prova il fatto che, benché si dica ostile a una sinistra descritta come sprofondata in cause, identità e battaglie lontane dai lavoratori, il neocomunitarismo tende a rispondere con il silenzio alle richieste di solidarietà per ogni conflitto sindacale.
Di regola, quanto sopra esposto non andrebbe più in là di una fesseria da Internet. Ma bisogna cominciare a preoccuparsi quando questo discorso neocomunitario supera gli schermi e compare in un evento ufficiale a La Moncloa, come è accaduto lo scorso maggio per mano di una giovane scrittrice, il cui nome mi sfugge, durante la presentazione dell’insulso rapporto Spagna 2050 sullo spopolamento rurale. In primo luogo, perché è indice di una strumentalizzazione del discorso da parte del governo al potere, il che va demistificato. In secondo luogo, e non meno importante, per la gravità delle sue affermazioni.
In effetti la relatrice, intervenuto sulla precarietà giovanile e la mancanza di incentivi per la natalità – di cui ha dato la colpa al «capitalismo globale ed europeo», tacendo significativamente di quello spagnolo –, ha messo sotto accusa il fenomeno migratorio, che ha descritto in forma contorta come di un «furto di mano d’opera», equiparandolo alla schiavitù.
Ma la relatrice, molto nota per il suo pamphlet revisionista nostalgico sulla Spagna degli anni ‘80 e ‘90, di cui si è avuta eco anche in parlamento, non ha trovato spazio per parlare della dura realtà dei lavoraoti migranti in quegli anni. Si tratta di vite segnate da sfruttamento, emarginazione e razzismo, che hanno fatto notizia solo a causa di eventi drammatici come l’omicidio della collaboratrice domestica dominicana Lucrecia Pérez, o la persecuzione dei braccianti africani nelle serre di El Ejido.
Come si vede, non è che il neocomunitarismo disconosca la realtà della classe operaia, confondendola, ma finisce per dividerla ed indebolirla. E anche se possono esserci alcune confusioni epistemiche – come il capire che le identità sono compartimenti stagni – è certo che il neocomunitarismo agisce come testa d’ariete del Capitale. Occorre allora attrezzarsi per una battaglia delle idee nella quale l’anarcosindacalismo occupi un ruolo rilevante.
Perché l’anarcosindacalismo? Perché, forgiato nella lotta di classe per più di cent’anni, i suoi principi, l’unità – di tutte e tutti –, azione – fare a meno delle mediazioni –, e autogestione – nessun aiuto da entità esterne –, continuano a essere validi. Perché non figura tra chi ha favorito un mondo del lavoro nel quale lavoratrici e lavoratori contano ogni giorno di meno. Perché vanta un’organizzazione sindacale che si diffonde di giorno in giorno nei luoghi di lavoro. Perché il suo impegno nella lotta è reso evidente dalla repressione che colpisce i suoi militanti, come testimonia l’ingiusta condanna comminata ai sette sindacalisti di Xixón. Perché, anche se a volte gli piace godere del suo passato, ha un futuro intero da conquistare.
Se la moda, i social network o i politicanti ci impongono un discorso neocomunitario, lo contrasteremo con parole e fatti. Con formazione, letture e dibattiti; e con solidarietà e mutuo appoggio. Come ben sappiamo noi che siamo impegnati nell’ambito sindacale, nulla è scritto per sempre, e se quello che ieri era un diritto oggi sembra passare per superfluo, cosa accadrà ai concetti su cui si fonda? Per questo motivo, occorre essere ben preparati alla battaglia intellettuale.